WORKSHOP
AVERSA
La strada fu lunga ed assai grave il peso,
persiste in me l’aroma di passi vagabondi e persino
nel naufragio del
mio essere sotterraneo – benché si annuncino rive di
salvezza –
nuoto svogliato contro la risacca,
serbando intatta la condizione di naufrago.
( Che Guevara, da Autoritratto oscuro, vv. 10-15)
La fotografia fornisce testimonianze, dice Susan Sontang
( Sulla fotografia, Einaudi ) – a partire dall’uso che ne fece la polizia di
Parigi nel 1870, per reprimere e incarcerare i comunardi.
Inoltre, essa attesta in maniera inequivocabile, che
se un dato fatto è stato fotografato, è di certo avvenuto.
E’ anche, o è stata, strumento di catalogazione, e
sorveglianza ( identificazione ) - essa
certifica chi siamo, cogliendo l’identità burocratica, non quella nascosta e
sfuggente del proprio io. Ma anche i luoghi hanno bisogno di essere
identificati e attraversati per coglierne valenze segrete, mai esperite,
esplorando un concetto permeabile come quello di origine, e di genius loci.
Workshop Aversa è questo e molto altro, i due autori
Cosimo Antitomaso e Salvatore Bertolino,
hanno percorso insieme, solo all’inizio, il periplo urbano della città
di Aversa, poi segugi in cerca di piste olfattive, si sono divisi, e ciascuno è
andato alla ricerca di figure, piazze nascoste e poco frequentate, musei del
nulla da cui provengono voci malinconiche e dolenti di internati, artigiani di mestieri antichi pressoché
scomparsi, chiese e cattedrali, e una forte amalgamante coralità che sfida il
tempo, e respinge la predeterminazione dettata dal tempo e dalla storia.
Queste immagini ridanno vita, e sono una risposta in
un certo senso, all’abbandono dei luoghi, alla triste routine
del quotidiano,
allo spopolamento esistenziale, al nero di luce in cui persistono quartieri
simili a quelli di Aversa di altre città del sud, dove religione, usi e
costumi, e storie antiche vanno a braccetto.
“ Ma attraverso la macchina fotografica, significa
anche prendere possesso dei luoghi - in
questo senso la usarono gli americani, che posti di fronte alla spaventosa
vastità ed estraneità di un continente da poco colonizzato, la usarono prendendo
familiarità con i luoghi attraversati.
La Kodak fece
affiggere cartelli all’ingresso di molte cittadine, con l’elenco delle cose da
fotografare.” (S.Sontag).
I passi scaltriti di Cosimo Antitomaso e Salvatore
Bertolino, esplorano, prendono possesso dei luoghi di Aversa che più hanno
valutato in sintonia con le loro corde, ed ecco venir fuori istantanee di vita
vissuta ma nello stesso tempo sfuggenti, non c’è che il tempo misurato
dall’esposimetro e la fotocamera ingoia, lastricati di basalto, portali di pietra lavica settecenteschi solenni ed
inquietanti, coppie di pedoni, edifici in abbandono che ammoniscono i viventi.
C’è poco da rallegrarsi, <<
I paesaggi, o spezzoni di essi fotografati, dice Erri de Luca, sembrano intrusi
non ospiti, senza lasciapassare né salvacondotto >>.
Ma non la potenza germinativa dello sguardo.
Sembra di vivere in un eterno presente, un qui ed
ora che mortifica l’esistenza senza sbocchi di futuro, predomina il nero delle
loro foto più toccanti esposte, simili a morsure di acidi, le sentiamo
appartenerci per la pelle, per i vicoli e le strade che forse un giorno
scompariranno - (ricordiamoci del lavoro di Atget a Parigi, poi scoperto e
valorizzato dalla Abbott ), mappatura
senza enfasi, di una città importante in passato, con palazzi storici
nobiliari dove hanno vissuto uomini di cultura, intellettuali, e musicisti - dove talvolta, buttando lo sguardo di
soppiatto attraverso la corte, si scorgono dei giardini fitti di agrumi, e il
loro profumo talvolta ci ricorda quello della poesia di Eugenio Montale, “ I
limoni “ ( da Ossi di seppia, 1921 ) – dove scrive -
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Gaetano Romano