Ex Malo Bonum – questo il titolo della mostra di Giovanni Ruggiero al MA di Napoli, diretto
con passione da Ilia Tufano, che sceglie
gli artisti con cura, al di fuori di schematismi o di appartenenze,
assecondando il suo intuito per le ricerche più varie, sempre sul filo del
rigore e della ricerca.
E’ questo il caso di Giovanni Ruggiero, attivo in
campo fotografico dopo una intensa vita di giornalista professionista in giro
per il mondo, su fronti di pace e di guerra.
L’inseparabile fotocamera a tracolla rimonta ad un
amore giovanile per la fotografia, e alla giovinezza vissuta a Casaluce, tra le
corti e “ dietro alla parrocchia “ - poi la passione si è espressa a completamento
della sua professione di inviato, quando gli scatti erano sigillo visivo del lavoro informativo.
Ma la ricerca vera e propria, quella di cui ci
occupiamo qui, esorbita dalla sua vita precedente, nasce sulle ceneri del
dolore, che ha spinto definitivamente Ruggiero ad indagare le molteplici
valenze e declinazioni del suo privato, in un momento drammatico della sua esistenza,
quando si è appesi ad un esile filo.
Memento nasce così, e forse l’opera più inquietante
è – Whole Body – ( Autoritratto con scintigrafia ) - che mostra l’autore tra un
prima e un dopo, e centrale tra le due scansioni temporali, la scintigrafia ossea
a cui era stato sottoposto, e dal cui esito sarebbe scaturito il responso
finale circa il trapianto di fegato da effettuarsi.
Sulla rotta della ferita ( corpo e psiche ) nasce il
percorso dell’autore, che nel corpus di Memento, raccoglie sia le opere più
legate al suo privato, che quelle in relazione con l’attività di giornalista,
che l’ha visto attraversare tante terre e dialogare con genti sempre diverse.
L’assemblaggio delle foto avviene in contenitori di legno chiusi, che
dovremo aprire con le nostre mani, conferisce a questa azione di svelamento,
rigore e valore; saremo liberi di vedere e di chiudere per non sapere, come
annota “ E. Montale “ quando scrive < Attendo con
fiducia di non sapere, perché chi sa, dimentica persino di essere vivo >.
La traiettoria dello sguardo è ampia,
nel suo raggio ricadono città come Mosca, Mostar, l’Algeria, l’Albania (terra
dell’alba ) e dei versi
di Gezim Hajdari, poeta esule che scrive dal nostro paese lettere d’amore e di
nostalgia per la sua terra abbandonata – ma anche la Calabria e l’Aspromonte,
dove vive Fedele e la sua famiglia, foto narrazioni in presa diretta adagiate
sulla superficie di garze, perché origine della ferita.
Confesso che ho imparato ad amare la ricerca di
Giovanni lentamente nel tempo, e il suo dispositivo visivo, scrigno di emozioni
che dipende solo da noi attivare oppure tacitare; il gesto delle nostre mani
per aprire al suo mondo, oppure per serrare nell’indifferenza.
Tra le ricerche in campo fotografico, quella di
Giovanni Ruggiero assume una valenza del tutto particolare, in virtù del suo taglio linguistico situandosi
e chiamando a sé, modalità istallative che collocano la foto in un pattern che dialoga
con lo spazio circostante, in una costante ricerca di senso.
Il dialogo con l’umano sembra essere la viva
preoccupazione dell’autore; in una recente intervista, l’autore ha affermato di
voler cogliere il momento in cui il
soggetto guarda nella fotocamera, per intensità e sintonia è il momento tanto
cercato, scambio emozionale e incontro etico.
Il lavoro di Giovanni Ruggiero inoltre arricchisce
la percezione del paesaggio esistenziale dell’uomo, in quanto attraverso
l’esperienza della ferita, tocca temi
cruciali come la fede, il divino, la morte, esperiti a contatto con l’umanità
di Lourdes e quella di San Giovanni Rotondo – nel contempo così come il
paesaggio geografico rappresenta < l’orizzonte psichico > dell’uomo, che si ricrea continuamente
attraverso lo sguardo, afferma il poeta Zanzotto, Ruggiero con le sue scatole
fotografiche, zeppe di vita e di ferite di popoli, traccia la sua mappa.