UNTITLED, mostra in corso alla Pagea Arte di Angri,
diretta con passione ed impegno da Elio Alfano, che raccoglie le opere di tre artiste ( Rosanna
Iossa, Rosa Cuccurullo, Maria Sara Pistilli ) attive in modo diverso sul
territorio, conferma in qualche modo la specificità dell’immaginario femminile
( icastico e determinato ) - come
riteneva Lea Vergine, che condusse battaglie forti per difendere e far uscire
fuori dall’ombra artiste del calibro di Carol Rama.
Si inizia il periplo dall’ingresso, incontro un
paesaggio evanescente sospeso tra cielo e terra e una natura morta di Sara
Pistilli, mentre nella sala grande la stessa artista declina una quadreria di
ritratti figurativi di forte tempra ( non espressionisti, ma di una modernità
classica per gli esiti ) corposi e sanguigni, che evidenziano il carattere
dell’artista ( ha molto amato paesaggio e nature ) e che ora da tempo concentra
l’attenzione e l’operatività sulla figura, con lavori intensi, e non di grande
formato, a formare in un certo senso un unico grande ideale dipinto con il
quale parla al mondo.
Questa mostra per l’artista rappresenta anche
l’occasione per ritornare ad essere presente sulla scena, dopo un periodo di
forzata assenza durante il quale ha molto riflettuto.
Rosanna Iossa
accoglie il visitatore con un libro d’artista edito dalle Edizioni del
Laboratorio di Nola, benemerita istituzione di Vittorio Avella e Antonio
Sgambati, che proseguono senza pausa un impegno che dà frutti ; questo libro
dove si coniuga parola ( poesia di Margherita Romano ) e segno ( acquaforte )
di Rosanna Iossa è connubio felice, incontro per navigare in altri mari dove ci
si incontra e ci scontra, e poi infine, esausti ci si ritrova.
Le opere della Iossa, ampie e ben definite pitture
che l’artista ha denominato Kore – figure femminili forti sempre in procinto di
scatto, antropologicamente connotate presso la cultura greca, sorta di Matres capuane, sono sospinte dall’artista
nel contemporaneo, rese protagoniste e quasi parlanti, dal momento che anche in
queste opere la parola accompagna l’immagine, sorta di smozzicato frasario
onirico che lega queste figure allo loro storia, emerse nel loro transito
labirintico verso la luce.
E’ un repertorio ben consistente quello messo in
opera dall’artista, che sembra dirci della sua passione per le culture
antropologicamente connotate ( area vesuviana e nolana ) dove persistono ancora
vivi sotto cenere di brace, raccolti e divenuti canti orali, leggende, canzoni
d’amore, e altre legate al ciclo delle stagioni e dei raccolti ( penuria,
abbondanza ) autentiche storie
culturali, fascinose e potenti, che anche lei stessa ben conosce, avendo fatto
parte del Gruppo E’ Zezi di Pomigliano d’Arco, che raccoglieva e difendeva non
soltanto questi canti di matrice rurale e contadina , ma anche quelli del loro
contemporaneo ( canti politici operai e di protesta, di stragi come lo scoppio
della Flobert ) e così via.
Rosa Cuccurullo, su altro versante, si affida al
nitore del bianco della carta che accoglie il nero di questi disegni di bulbi,
che si sollevano con forza dall’immobilità a cui sono costretti; declinano
movimenti impercettibili, azzardano raffinati e guardinghi nuova vita mentre
osservano i bulbi nel vaso da dove sono nati.
E’ un percorso visivo icastico e ben delineato
quello della Cuccurullo, attiva anche nella scultura, che qui coniuga
sapientemente disegno e materia, idea e realizzazione, lungo un asse che
partendo dal bulbo modellato arriva a declinarne un campionario in dialogo di
forme e posizioni, di matrice concettuale
che sfida la consuetudine dell’immobilità e del silenzio, per aprire verso una
sorta di confronto, per conoscere l’immagine, sperimentarla e indagarla e in un
certo senso partecipare alla genesi e alla vita delle opere.
Valga per le tre artiste in dialogo, per il loro spirito
libero, quanto annotava in riferimento all’ispirazione e alla creatività
poetica, cosa non troppo distante dallo spirito delle arti, il
poeta A.
Zanzotto che parlava di “ ispirazione nativa, non sublime, bene ambientale, che
esiste allo stato libero, come un gas, una ferita perenne “.