E’aperta da Venerdì 16, al Tamarin Business Center
di Marcianise-Caserta, la mostra personale permanente dell’artista Enzo Marino,
storia e internazionalità.
La mostra rientra nei programmi della direzione del Centro Tamarin, ubicato in
una area-snodo privilegiato di assi viari diretti verso il nord e l’area
casertana, di favorire ed incentivare l’offerta artistica, con mostre
significative di artisti campani ed internazionali, come Enzo Marino, che ha
svolto la sua carriera artistica in prevalenza fuori dai confini nazionali; in
India, Colombia, Israele, Germania, dove sono custodite sue opere, sia in
collezioni pubbliche che private.
La rassegna casertana focalizzata in prevalenza su
pitture eseguite con varie tecniche, tra cui quella con rullo di lattice, che consente all’artista
una ampia ed estesa gestualità che non deborda però nell’incontrollata azione
gestuale, offre lo spunto all’artista ( che vigila con attenzione affinchè il
processo creativo conservi i caratteri impressi ) - di valutare le possibilità, in relazione al
proprio intento creativo, di altre tecniche non canoniche, ma capaci di
penetrare nel fondo noumenico della rappresentazione visiva.
Persiste nell’opera dell’artista ( con caratteri
decisi ) una scia che lo accompagna da alcuni decenni a questa parte,
costituita da un marcato intento figurale non canonico, ma che si sviluppa
lungo l’asse del recupero archeologico, di culture di interesse antropologiche,
con cui verosimilmente è entrato in contatto nel corso delle sue peregrinazioni
intorno al mondo.
La ricchezza cromatica dei costumi di questi popoli,
la particolare foggia dei loro indumenti, dei loro riti tribali, delle loro
credenze e spiritualità, hanno catturato l’attenzione investigativa di Marino,
che da Napoli culla del mediterraneo ( habitat ideale attraverso i secoli per
popoli e migranti ) e al centro della Magna Grecia, hanno posto le basi per
l’artista, di praticare con determinazione, una estesa narrazione visiva, che
integra e contempla talvolta, le sinergie musicali, come avvenne durante le campagne
di studi nel Salento alla fine degli anni cinquanta, ad opera dello studioso
Ernesto De Martino, che in compagnia di uno psicologo, di un sociologo, e di un
musicologo, studiarono il fenomeno dei
tarantolati,
antico rito contadino caratterizzato dal simbolismo della taranta – il ragno
che morde e avvelena- a cui dava giovamento nelle crisi, il suono degli
strumenti musicali con la magia estatica dei suoni e della danza.
De Martino impresse uno slancio rinnovato agli studi
antropologici, sovvertendo la retorica che accompagnava la cultura contadina, e
definendo il Salento terra del rimorso “ terra del cattivo passato che torma e
opprime col suo rigurgito “.
Forse è possibile ipotizzare, sembra pensare il
Marino, una sinergia tra le arti in cui l’abbraccio di queste, non comprima
oppure svaluti l’asserto visivo di competenza dell’indagine pittorica e
artistica.
Si tratta di percorrenze di tutto rispetto, che
vanno considerate con cura per comprendere in che modo e quali risultati
potranno produrre nel tempo, dal momento che la componente gestuale
in Marino opera ed occupa un ruolo di rilievo, in
questo forse, conferendo all’artista-esecutore, una sorta di caratterizzazione
sciamanica ( posseduto da forze e da culture altre, e in ascolto di esse ).
Ricordiamo che Jackson Pollock, l’artefice
dell’action painting e uno dei maggiori rappresentanti dell’espressionismo
astratto americano, affermava di sentire durante l’azione esecutiva ( con la
tela stesa a terra gocciolante di colore
) della pittura, i passi e i suoni della prateria calpestata dai cavalli dei
suoi antenati ( indiani ) – che l’artista richiamava dal fondo del loro
silenzio.
Visto in questa luce, il procedimento creativo e
l’ispirazione trovano conforto ed alimento nella lingua del passato, la sola
capace di favorire, forse, la lettura del presente, come avviene per certi
aspetti nell’opera di Enzo Marino, dove convergono varie tecniche, disegno,
incisione, pittura, scultura, performance e musica, unite nello sforzo di
penetrare nel confronto serrato, tra il corpo e il mondo, la totalità delle
cose, come annota Merleau-Ponty nel “ Il visibile e l’invisibile “ – quando
afferma “ Così il corpo è ritto davanti al mondo e il mondo ritto davanti al
corpo, e fra loro vi è un rapporto d’abbraccio. E fra questi due esseri
verticali c’è non una frontiera, ma una superficie di contatto”.