Da tempo, con ostinata tenacia, Mimmo Fatigati prosegue la sua
ricerca sulle immagini geometriche ed aniconiche; rappresentazioni
che non conservano più alcun legame con le figure e neppure con i
dati della natura, ma si indirizzano verso l'interno della visione,
verso le griglie percettive che la orientano.L'area è quella ascrivibile al filone dell'optical art, che negli
annni sessanta e settanta visse la sua stagione più significativa,
con le ricerche di Vasarely, Buren, Alviani, per citare solo alcuni
tra gli altri.
Scopo delle ricerche di questi artisti, mediante l'uso del colore,
della linea e della geometria, nonchè del segno grafico e di altri
innesti eterocliti, era di provocare alterazioni nel quadro della
percezione visiva, inducendo l'osservatore a riconsiderare lo spazio
della rappresentazone, scardinando i canoni tradizionali,
destabilizzandoli con il colore e il taglio di geometrie dinamiche
. Fatigati per suo conto, in un certo senso, ha rimosso i legami che lo
vincolavano con la sua formazione precedente, per percorrere in
solitario ascolto le modulazioni provenienti dal suo mondo
immaginativo; un transito non certo agevole e ricco di insidie,
perchè la visione delle sue opere apre ad uno spazio raffreddato, a
tratti asettico e sotto vuoto di luce algida.
Ma chiama in causa nello stesso tempo altri luoghi, altre
significanze, in cui le architetture delle città e le modalità con
cui sono concepite stridono con lo spazio dell'uomo ( vicinanza,
prossemia ) e quindi l'habitat, il corpo, la casa come estensione del
corpo, sollecitando numerose interrelazioni di ordine antropologico e
sociologico.
C'è tutto questo occultato nei luoghi della sua ricerca ( che
Fatigati tenta di esperire ) - nelle stratificazioni delle materie
adoperate, nella costruzione dei labirinti identici delle sue
cellette, nella estroflessione delle plastiche, nei colori che
innescano dialoghi con lo spazio riempendo il vuoto che l'assedia -
l'artista non opera soltanto sulla superficie ricollegandosi ad
esperienze visive ormai storicizzate, ma sa che ipotizzando luoghi
più umani ed empatici, si riduce il contrasto, l'attrito, lo iato
stridente uomo-natura compromesso dallo sviluppo forsennato e senza
regole.
" E' l'ora " dice il poeta francese Renè Char - "
che le finestre s'involano dalle case per accendersi in capo al mondo
dove il nostro mondo spunterà “.