
Lunedì 11 Gennaio alle ore 19, a cura dell’Amministrazione Comunale di Ottaviano, guidata dal Sindaco Dott. Mario Iervolino, sarà presentato al pubblico al Teatro Tenda di Piazza Mercato, il libro Il cecchino e la bambina, del giornalista Franco Di Mare – racconti e resoconti di guerra popolati da figure fatte di carne e sangue.
I libri servono a farci tenere gli occhi aperti, anche quando vorremmo tenerli chiusi
Ho pensato questo dopo aver letto Il cecchino e la bambina di Franco Di Mare, giornalista nato a Napoli nel 1955, e volto noto della televisione, che dopo vent’anni come inviato di guerra, sui fronti minati dell’Iraq, del Kosovo, del Libano, del Ruanda, dell’Algeria, dell’Afghanistan, passando per Somalia e Mozambico, ha condensato nei capitoli del suo libro, i tormenti, le ansie, le paure, l’orrore di ciò che aveva visto nelle terre attraversate da conflitti tremendi e terribili, forse impossibili da descrivere, rimanendo sani di mente, ma anche l’amore, la voglia di vivere nonostante la guerra, la speranza che non abbandona mai l’essere umano anche nei momenti più difficili.
Storie toccanti come quella di Amira, che apre il lungo resoconto di esperienze, centrata da un cecchino che aveva atteso pazientemente che la bambina uscisse fuori nel cortile per raccogliere la palla.
Di Mare incrocia la storia di Amira, come dice lui stesso, alla fine del “ giro degli avvoltoi “ – quello che gli inviati fanno quando a corto di notizie fresche, debbono comunque mettere su un servizio per salvare la giornata.
E scoprono Amira sul letto di metallo su cui era stesa, nella morgue dell’ospedale.
Indossava, dice l’autore, un abitino azzurro con disegni piccoli, sembrava sorridesse, ma era immobile per sempre.
E’ un crescendo doloroso, spine conficcate nella carne viva, ciò che racconta con umanità e compostezza, con lucidità e partecipazione emotiva, ma mai fuori controllo - le parole scorrono per testimoniare e far sapere, agli altri e ancora a se stesso, che testimone diretto per il lavoro di giornalista, incontra sulla sua strada personaggi e figure,uniche e irripetibili.
Nel centro dell’Europa, poco distante da noi, dalle nostre confortevoli case, il conflitto nella ex- Jugoslavia, negli anni novanta, ha rappresentato il centro degli orrori e di assurde mattanze, che la comunità internazionale e l’Onu, spesso ha guardato con fastidio, e finta partecipazione.
Etnie in rivolta per rivendicare libertà e indipendenza, ma anche risposte ambigue e misteriose, senza senso, o forse con un senso sotterraneo e celato, sembra essere quello descritto da Di Mare, nel racconto L’amore ai tempi della guerra, in cui Mila, giovane ragazza bosniaca, che viveva a Sarajevo, dopo essersi sposata con un giovane e brillante avvocato serbo, scopre, dopo l’improvvisa sparizione del marito, per televisione durante un notiziario, che il suo giovane sposo era passato dall’altra parte, dalla parte di quelli che da mesi bombardavano la sua città e i cui cecchini non risparmiavano neanche i bambini, anzi erano i bersagli preferiti, per lo sgomento che la loro morte provocava.
Vederlo in televisione, ben inquadrato a fianco dei capi politici, fautori della pulizia etnica, la getta in un doloro sordo e profondo.
Non ha parole il dolore, specie quando ci colpisce troppo da vicino.
Mila, dopo una notte passata in lacrime, raccoglie tutti gli indumenti del marito, e chiusi in un sacco li porta in un orfanotrofio della sua città, per far fare festa ai piccoli ospiti; altrettanto fa con foto, oggetti, ricordi, lettere, chiusi in una piccola scatola in cui infila anche la vera che aveva al dito, che mai aveva tolto, e seppellisce tutto in una buca scavata in collina, dopo aver pianto per l’ultima volta.
Poi si asciugò gli occhi e tornò a casa. Suo marito era morto.
I protagonisti del male sono tanti, si fa fatica ad enumerarli.
A chiudere il lungo elenco di personaggi e di loschi figuri, con le mani macchiate di sangue, ci pensa Herak il contadino, che durante l’assedio di Sarajevo, insieme alla moglie fu trascinato davanti ai giudici bosniaci, e giudicati per crimini di guerra.
Allora, dice Di Mare, per la prima volta, tutti poterono vedere da vicino il volto anonimo di un contadino trasformatosi in feroce assassino.
Aveva sgozzato molte uomini e donne, Herak, e anche come era uso allora, violentato e stuprato, per non essere deriso dagli altri uomini del suo clan, ma in fatto di taglio di gole, la sapeva veramente lunga, e lo mostrò, in diretta, a richiesta del Presidente del Tribunale.
I maiali, disse serio, “ furono le cavie dove imparai a individuare la giugulare “.
La ferocia, il disprezzo della vita umana in quegli anni di guerra fratricida, assunse caratteri mai visti prima; di tanto orrore erano maestri non solamente i nazisti.
Ma Herak, il mite contadino assassino della sua gente, quasi sfigura, in confronto di ferocia, con i massacri tra Tutsi e Hutu, nel Ruanda.
A colpi di accetta, si azzoppava e mutilava, una mano e una gamba, destra oppure sinistra, affinchè mai più il nemico potesse reggersi in piedi.
Ai fortunati che potevano pagare, una pallottola e via.
A rovistare tra le pagine de Il cecchino e la bambina, si trovano tante storie, su cui occorrerebbe soffermarsi, ma la misura è colma, lo sdegno tanto, perché l’indifferenza del mondo e della comunità internazionale nonostante tutto è stata enorme, e allora chiudo con le parole di Shakespeare, dal Riccardo III, che Franco Di Mare ha posto invece in esergo, per prepararci al lungo viatico che ci attendeva.
Lady Anna: Sciagurato, tu non conosci la legge di Dio, né quella degli uomini. Eppure non v’è belva tanto feroce che non provi qualche senso di pietà.
Duca di Gloucester: Ma io non ne provo alcuno, per questo non sono una belva.