
Accanto alla figura prodigiosa di Amedeo Modigliani, un altro italiano, esule a Parigi, che seppe imprimere alla sua ricerca caratteri innovativi e moderni, è Medardo Rosso.
Era nato a Torino nel 1958, e frequentato l’Accademia di Brera a Milano, quando si rende conto che c’è qualcosa che non và nell’insegnamento della scultura, sbatte la porta e va via.
Dopo un aspro litigio con il suo docente, che lo invitava a fare come gli altri, cioè a guardare e disegnare il modello nudo, e non vestito, come invece avrebbe voluto il giovane Medardo, che intendeva ricercare volumi e prospettive diverse della luce, di atmosfere e rifrangenze, cerca il suo ideale d’arte altrove; lo trova a Parigi.
Cerca la luce, la plasticità, e nella capitale francese, sulle orme degli impressionisti, scopre la morbidezza della cera, e accoglie la stessa problematica degli impressionisti, attraverso la superficie pastosa, sfaccettata, tenta di carpire il momento in cui la luce diventa vibrazione e movimento percettivo.
Il suo capolavoro giovanile è La portinaia del 1883.
E’ amico di Degas e di Rodin con il quale cambia un Torso con la sua Rieuse, di Emile Zola, del terribile Clemenceau, del raffinatissimo Rouart, collezionista d’arte.
Nel 1884 espone insieme a Lautrec, con cui ha in comune un personaggio; Yvette Guilbert, la celebre vedette che fa parte della sua migliore ritrattistica.
Opere molto alte di quegli anni sono: Ecce puer, Bambino malato, Signora x, e Carne altrui.
I bambini sono le creature che lo affascinano di più, sono esistenze ancora acerbe, una età breve e inconsapevole, un attimo di commozione.
Tutta la sua scultura è una lotta con la realtà ribelle della materia, lo sforzo continuo di dominarla per piegarla ai suoi voleri.
Scatta un senso di profonda elevazione dalle sue opere, di intima adesione esistenziale, di partecipata commossa solidarietà.
E’ un innovatore, solitario e lontano dagli altri, da mode e correnti agisce assecondando le ragioni più profonde della sua ispirazione.
Nel 1910, per l’interessamento di Severini, Soffici, e tanti intellettuali italiani che erano a Parigi, e che mantenevano i contatti con l’Italia e con Firenze, si inaugura la sua mostra, che appare a tanti problematica – l’impressionismo giunge troppo in ritardo in Italia, e la ricerca del vecchio maestro che si sintonizza sulle corde degli innovatori francesi appare fuori tempo.
Quando muore, Medardo Rosso, il vecchio ineguagliato maestro della luce e delle vibrazioni impresse nella materia, ha avuto il tempo di assistere al ritorno dell’arte italiana, al classicismo.
Ma la sua opera e la sua lezione rimarrà a lungo valida, e artisti delle successive generazioni, come Manzù, a lungo guarderanno alla sua opera come faro nelle tenebre della materia.