
“ Ecco lu mare “ gridarono i bambini pugliesi di San Severo di Foggia, quando per la prima volta fecero il bagno in una vasca dei bagni pubblici dell’Emilia Romagna, Marche, e Toscana, dove vennero accolti da famiglie ospitali che li trattarono come veri figli, anche se non lo erano.
Questo racconta il libro dell’antropologo Giovanni Rinaldi dal titolo “ I treni della felicità “ ( Ediesse Edizioni ), quando, come riportato dal Venerdì di Repubblica del 25 Settembre 2009, migliaia di bambini, i cui genitori erano stati arrestati dopo le occupazioni delle terre pugliesi del ’50, furono accolti da famiglie contadine della Romagna, dando vita ad un gesto straordinario e corale, che mai negli anni a venire sarebbe stato dimenticato da quei bambini diventati adulti.
L’autore parte dai tragici fatti della rivolta dei braccianti d San Severo: sfruttati fino all’inverosimile dai latifondisti, esasperati scesero in piazza il 23 Marzo del 1950, gridando << Pane e lavoro >> .
Alcun testimoni del libro raccontano delle condizioni di vita disagiate e insopportabili in cui vivevano i braccianti; abitazioni composte da una unica stanza, con bagni fatiscenti, dove talvolta trovava riparo anche l’asino o il cavallo,come nei Sassi di Matera.
Così scoppiò la rivolta, con i carretti dei contadini rovesciati per strada a formare barricate; dopo una giornata di violenti scontri con la polizia del ministro Scelba, arrivarono i carri armati dell’esercito, e la rivolta sedata registrò 180 manifestanti arrestati con l’accusa di insurrezione armata e una vittima.
Pesanti le condanne, due anni di carcere. Chi avrebbe avuto cura dei loro figli durante la prigionia?
La sinistra rispose subito all’appello, poiché già dal 1945 era attivo un Italia un movimento nazionale sorto a Milano per iniziativa della dirigente comunista Teresa Noce, dei partigiani Gruppi di difesa delle donne e della nascente Udi, e furono proprio le donne ad organizzare l’operazione dei treni della felicità, per trasferire migliaia di bambini tra i quali i settanta figli dei rivoltosi di San Severo, nelle case delle famiglie aderenti alla rete dei Comitati di solidarietà democratica che li avrebbero ospitati per periodi che vanno da alcuni mesi a un paio d’anni.
Non si trattò di adozioni o affidi, se non in qualche raro caso,ma di una sorta di “ colonia “ protratta nel tempo, favorita dalle istituzioni che assecondarono questo flusso ( come le scuole che mostrarono disponibilità ad accogliere i nuovi allievi ) .
Il cambio di ambiente e di geografia servì come una sorta di medicina curativa per questi bambini, che si resero conto che la vita può essere diversa e appagante.
Venivano curati e assistiti, sin dalla colazione mattutina, abbondante e ben fornita che questi bambini non avevano mai visto, fino al pranzo con la pasta che non mancava mai e la minestra la sera.
Le vere novità erano due: il cibo e il tempo liberato dalla fatica. Annota Erminia Tancredi, una sanseverina che decise di restare per sempre ad Ancona: “ Quando mia madre veniva a trovarmi, vedeva la gente passeggiare in centro e diceva: “ Chissà dove vanno ? “
A quei tempi una donna del Sud non riusciva a concepire che esistesse del tempo libero.
Una storia di legami invisibili con la propria terra di origine, dove quasi tutti tornarono, tranne pochi che furono adottati e restarono per sempre in quelle altre regioni d’Italia, dove furono accolti con amore e a braccia aperte, cinquanta anni or sono.
Giovanni Rinaldi, l’antropologo autore della ricerca, ha confermato che di tutte le persone incontrate per il libro, nessuna ha interrotto o ha perso i contatti col suo ospite, e i rapporti sono continuati anche tra i figli di ospiti e ospitati, mentre il treno continua a correre.