
Naufragio con spettatore si intitola la retrospettiva di Francesco Clemente al Museo Madre di Napoli, a cura di Pamela Kort, il cui titolo la curatrice ha proposto rifacendosi ad un saggio di Hans Blumenberg.
Il catalogo edito da Electa, contiene in allegato un racconto dello scrittore Salman Rushdie, amico di Clemente da lungo tempo, e che in un certo senso lo affianca con il suo scritto su Napoli, volto a rintracciare i legami della memoria con la grande capitale del Sud.
Dopo la mostra del 2002 al Museo Nazionale di Napoli, l’antologica dedicata ora a Francesco Clemente, a 10 anni dalla importante retrospettiva del Guggenheim di New York è in un certo senso il felice ritorno dell’artista nella sua città natale e anche nel museo in cui ha lavorato per 4 mesi -nel 2005- ad un affresco, articolato in due sale, di proporzioni monumentali e a un pavimento in ceramica che ripercorre con la memoria dell’infanzia i luoghi e simboli antichi di Napoli.
Otto sezioni e piu’ di cento opere tra cui un gruppo di inediti, che descrivono il continuo -salpare- dell’artista dal suo luogo natale (la cultura italiana e in particolare quella partenopea) verso Roma, l’India, gli Stati Uniti per poi ritornare sempre - a casa”.
Il percorso artistico di Clemente dal 1974 al 2004 e’ infatti associato a un naufragio, di cui le opere presentate sono i frammenti, i pezzi del relitto, di un tutto andato in pezzi e scomposto. Lo spettatore e’ l’artista stesso che osserva il suo viaggio trentennale, fatto di molte tappe, alla ricerca di riconciliazione tra l’eredità greco-romana antica e una percezione contemporanea del mondo.
Un contrasto interiore che -viene a galla-, osservando la traiettoria di Clemente, nei continui riferimenti alla filosofia antica, alla simbologia, alle mitologia ma anche alla pratica religiosa, nelle immagini arcane, nelle forme ambivalenti, negli autoritratti deformati. E anche nella sperimentazione tecnico-stilistica che va dall’olio all’acquerello, dall’affresco, al mosaico.
Una sezione speciale, creata in occasione della mostra, raccoglie 10 lavori nuovi e inediti datati 2009, che portano il titolo di -In meiner Heimat- . Heimat e’ un vocabolo tedesco che non ha un corrispettivo nella lingua italiana e indica il territorio in cui ci sente a casa propria perche’ vi si e’ nati, vi si e’ trascorsa l’infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti. Raccolti nella sezione intitolata -Mappe-, questo gruppo lavori illustra i luoghi da cui Clemente parte e a cui fa continuo riferimento nel suo viaggio artistico.
Formano un territorio immaginario che unifica oriente ed occidente, il tempo e lo spazio, determinando una cartografia onirica e spiazzante. Il rimando immediato e pertinente è alle mappe di Alighiero Boetti, al quale, Clemente, è stato legato da una profonda affinità elettiva, stessa visione del mondo, e stesso spirito d’avventura, che li portò ad affrontare insieme un viaggio in Afghanistan. Rigorosa la cura filologica e teorica di questo percorso espositivo, che parte dai primi esperimenti fotografici degli anni Settanta di matrice concettuale, legati alla produzione e alla figura di Pino Pascali, per approdare in maniera definitiva e rivoluzionaria alla pittura, in quegli anni in cui tutto il mondo artistico occidentale si orienta sulle produzioni concettuali, Clemente sceglie consapevolmente di dipingere, dando corpo e forma ai fantasmi della visione sulle ali della leggerezza.
Le letture di Michel Foucault, Gilles Deleuze, Felix Guattari, e Alberto Savinio influenzeranno il suo universo teorico.
Un astrattismo figurativo, del tutto contemporaneo ed al tempo stesso arcaico. Lo spettatore è calato, in un atmosfera sognante, che parla di antichissimi riti e miti, legati ai popoli del Mediterraneo e dell'estremo oriente, miti greci, leggende indiane, il tutto filtrato e rielaborato con una sensibilità, filosofica e cromatica del tutto postmoderna.
La sua opera non è mai univoca, polimorfica la sua essenza, capace di creare forme nuove e pensieri nuovi, in una lingua antica. Il misticismo orientale e la filosofia occidentale, si incontrano nelle opere di questo straordinario artista partenopeo, viaggiatore inesausto e mai domo.
Sperimentatore delle tecniche più disparate, dall’acquerello, all’affresco, dal disegno a matita, all’acrilico su tela.
Un grande mosaico di colori e forme pulsanti, di esseri metamorfici e linee danzanti, colpiscono l’occhio, ma soprattutto la mente, catturata ed affascinata dal tentativo d’interpretare le molteplici simbologie stratificate ed iconografie violate.
Svela la sua pittura l’arcano che dorme silenzioso nelle fratture obliose del tempo, riportato in vita e richiamato dal fondo del suo silenzio dall’artista che sembra far sue le parole della filosofa spagnola Maria Zambrano, che afferma “ il tempo è un abisso, dura nel mentre che divora “.