
Onna, Onna.
Onna è il paese più colpito, raso al suolo.
Si rincorrono le voci, i sussulti, i lamenti; il dolore di chi attende ai margini del disastro il ritrovamento dei corpi.
Ognuno spera che il corpo ritrovato non sia quello del suo caro che manca all’appello; figlio, fratello, moglie, madre, padre, fidanzata, amico, parente.
Ognuno ha un motivo per essere lì, in silenzio, schiacciato dal dolore dell’assenza.
Il terremoto, le catastrofi di questo tipo, mettono in luce sentimenti nascosti e profondi, che rincorrono il tempo; delle immagini, dei ricordi.
Le autoambulanze corrono veloci inseguite dal rumore delle loro sirene, mentre ancora ricordano che non è finita.
Il cuore della terra, non si è acquietato, ancora scarica deflagrazioni terribili.
Le chiese, tante, non potranno contenere fedeli per questa Pasqua del dolore e della sofferenza, le celebrazioni avverranno all’aperto, nella natura, e con i piedi poggiati sulla nuda terra.
Numerare la morte è compito sovrumano.
Ogni cifra raggiunta, più tardi non è più quella giusta, ed è destinata a crescere.
Quando si finirà di contare, quando si scriverà la parola fine?
Nessuno, per ora è in grado di dirlo.
Molti i ragazzi, belli nella giovane forza della loro età; dalle foto viene fuori la loro personalità – sicuri, estroversi, felici, ignari, giovani soprattutto.
Quasi tutti erano lì per motivi di studio, nella tranquilla e appartata città dal nome del rapace; fiera, orgogliosa città di montagna, con le sue tante salite, e chiese e fontane, con il suo freddo pungente alitato dal Gran Sasso.
Con il suo carico di morte nascosto nel ventre profondo della terra.