
della grande poetessa Sylvia Plath, e di Ted Hughes, anche lui poeta.
La
scomparsa è avvenuta il 17 Marzo, ma la notizia è stata diffusa l’altro ieri
sul Times dalla sorella Frieda.
Ha ragione Tommaso Pincio, estensore dell’
articolo su Repubblica del 24 Marzo, che non deve essere stato facile trovare
un posto nel mondo sapendo che tua madre si è tolta la vita quando eri poco più
di un neonato.
Da anni lottava contro la depressione, e aveva lasciato la
cattedra di Scienze oceaniche all’Università di Fairbanks, per aprire una
fabbrica di ceramiche, ma il peso insopportabile del passato, gravava forse
come un macigno sulla sua esistenza, impedendogli di vedere uno spiraglio nella
sua esistenza.
Sylvia Plath si uccise nel 1963 con il gas, in maniera atroce
infilò la testa nel forno a gas della cucina.
E fu la fine.
Ma è una lunga
sequenza di morti, poiché anni dopo, nel 1963, anche Anna Wevill, si tolse la
vita, trascinando con sé, la figlioletta di quattro anni; la Wevill era la
nuova compagna di Ted Hughes.
Sylvia Plath e Ted Hughes si erano conosciuti
sette anni prima del suo tragico gesto, a Cambridge.
Nata a Boston, Sylvia era
una studentessa brillante con una grande ambizione di imporsi nel mondo
letterario.
Ted invece, era un giovanotto inglese dai progetti ancora vaghi,
ma che aveva all’attivo e pubblicato alcune poesie, oggetto di ammirazione per
Sylvia.
Nel giro di pochi mesi la coppia finì all’altare, e all’inizio è una
luna di miele, uniti dalla passione della letteratura, girano in lungo e in
largo l’America e il Vecchio Continente.
Con l’arrivo dei figli e alla
frustrante routine domestiche, si aggiungono le scappatelle di Ted, che alla
fine si getterà tra le braccia di una altra, Assia Wevill.
Per Sylvia inizia
un periodo molto difficile, anche di ristrettezze finanziarie, ma nello stesso
tempo di intensa produzione di scritti, che culmina nel 1963, con la
pubblicazione sotto pseudonimo, del romanzo La Campana di vetro, che narrava
delle esperienze degli elettroshoch senza anestesia.
Dopo un mese esatto, la
Plath, pose fine alla sua vita, e a lungo il marito Ted Hughes, fu ritenuto
responsabile, per il suo stile di vita e per le ferite inferte a tradimento.
Lo psichiatra Eugenio Borgna, profondo conoscitore delle pene psichiche, in un
suo libro di qualche anno fa “ Le intermittenze del cuore “ analizza a lungo la
“ smania di morire “ di Sylvia Plath, che attraverso i suoi scritti evidenzia,
a detta dello studioso, gli abissi più terrificanti della vita interiore.
Uno
scenario affollato di figure che danzano in cerchio, in attesa della
conclusione della rappresentazione; l’amante, l’amica, il figlio.
Un cerchio
inquietante, che trascende i legami di sangue.
Cos’è dunque il suicidio? Si
chiede Pincio nell’articolo – una malattia contagiosa, una perversa tentazione
che si trasmette alla maniera dei virus?
Le ragioni sono misteriose, la
rincorsa verso l’abisso ignota; ma deve esserci stato un cielo solitario, e
deserto sopra i protagonisti – come quello che Sylvia Plath vide, e che appuntò
in un gelido giorno d’inverno “ Parlo a Dio ma il cielo è vuoto “.