27 Gennaio sarà celebrata in tutta l’Europa, il Giorno della Memoria, istituito
per ricordare le vittime del nazismo e dell’Olocausto.
La data simbolo è quella
del 27 Gennaio, quando le avanguardie sovietiche arrivarono ad Auschwitz, il
primo campo di sterminio liberato dagli Alleati dove sono stati uccisi circa un
milione e mezzo di ebrei.
Una giornata particolare che merita rispetto, perché
ricordare è un imperativo morale, etico, a cui l’uomo non può e non deve
sottrarsi.
Così come ricordiamo le persone care che non abitano più la vita,
così dobbiamo ricordare che c’è stato un periodo storico di alcuni anni, nel
Novecento, in cui un popolo ha deciso di eliminare un altro popolo; non ci fu
appello, la sentenza divenne esecutiva.
Primo Levi, autore di “Se questo è un uomo " racconto di un sopravvissuto che ritorna alla vita civile di uomo libero
con il suo pesante fardello di ricordi, è il simbolo letterario di questa
memoria.
Non il solo, naturalmente, ce ne sono stati tanti altri, ma Levi ha
scolpito con la sua prosa priva di retorica, asciutta ed essenziale, tutto l’
orrore della pratica quotidiana di annullamento della dignità dell’uomo,
compiuta da altri uomini.
Sopravvivere per raccontare, questo era il desiderio
più forte dei reclusi, tornare alla vita e dire, se parole potevano dire,
quello che avevano visto e vissuto.
Molti temevano di non essere creduti, molti
temevano di essere ritenuti pazzi o visionari.
Dopo, quando i campi furono
aperti, e i liberatori fecero il loro ingresso, e videro una moltitudine di
fantasmi vaganti, neanche i soldati più avvezzi al sangue e alle carneficine,
riuscirono a figurarsi, che il nemico, il più terribile e aguzzino, avesse
potuto mettere in opera una simile barbarie.
Poi ci furono i processi, molti
negarono, molti dissero di non saperne nulla, anche se avevano eseguito
diligentemente gli ordini superiori di annientamento e estinzione, non avevano
visto, non avevano memoria.
Il fronte dei negazionisti dell’olocausto non era
poi così piccolo.
Ma ciò che è stato, non dovrà più essere, e per questo è
necessaria la memoria storica, e Se questo è un uomo deve essere letto da
tutti, soprattutto dai ragazzi, dagli studenti di tutte le scuole di ogni
ordine e grado.
A pagina 31, Primo Levi descrive con queste parole i suoi primi
giorni nel campo la Buna, a Monowitz, vicino ad Auschwitz “ Eccomi dunque sul
fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto,
se il bisogno preme.
Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fame
regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare
di notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi; già ho imparato a non
lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone
di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li
considero miei di pieno diritto.
Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le
piaghe torbide che non guariranno.
Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco
alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il
ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a
sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci
vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l’un l’altro.”
Molti furono i sommersi , pochissimi i salvati.
per ricordare le vittime del nazismo e dell’Olocausto.
La data simbolo è quella
del 27 Gennaio, quando le avanguardie sovietiche arrivarono ad Auschwitz, il
primo campo di sterminio liberato dagli Alleati dove sono stati uccisi circa un
milione e mezzo di ebrei.
Una giornata particolare che merita rispetto, perché
ricordare è un imperativo morale, etico, a cui l’uomo non può e non deve
sottrarsi.
Così come ricordiamo le persone care che non abitano più la vita,
così dobbiamo ricordare che c’è stato un periodo storico di alcuni anni, nel
Novecento, in cui un popolo ha deciso di eliminare un altro popolo; non ci fu
appello, la sentenza divenne esecutiva.
Primo Levi, autore di “Se questo è un uomo " racconto di un sopravvissuto che ritorna alla vita civile di uomo libero
con il suo pesante fardello di ricordi, è il simbolo letterario di questa
memoria.
Non il solo, naturalmente, ce ne sono stati tanti altri, ma Levi ha
scolpito con la sua prosa priva di retorica, asciutta ed essenziale, tutto l’
orrore della pratica quotidiana di annullamento della dignità dell’uomo,
compiuta da altri uomini.
Sopravvivere per raccontare, questo era il desiderio
più forte dei reclusi, tornare alla vita e dire, se parole potevano dire,
quello che avevano visto e vissuto.
Molti temevano di non essere creduti, molti
temevano di essere ritenuti pazzi o visionari.
Dopo, quando i campi furono
aperti, e i liberatori fecero il loro ingresso, e videro una moltitudine di
fantasmi vaganti, neanche i soldati più avvezzi al sangue e alle carneficine,
riuscirono a figurarsi, che il nemico, il più terribile e aguzzino, avesse
potuto mettere in opera una simile barbarie.
Poi ci furono i processi, molti
negarono, molti dissero di non saperne nulla, anche se avevano eseguito
diligentemente gli ordini superiori di annientamento e estinzione, non avevano
visto, non avevano memoria.
Il fronte dei negazionisti dell’olocausto non era
poi così piccolo.
Ma ciò che è stato, non dovrà più essere, e per questo è
necessaria la memoria storica, e Se questo è un uomo deve essere letto da
tutti, soprattutto dai ragazzi, dagli studenti di tutte le scuole di ogni
ordine e grado.
A pagina 31, Primo Levi descrive con queste parole i suoi primi
giorni nel campo la Buna, a Monowitz, vicino ad Auschwitz “ Eccomi dunque sul
fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto,
se il bisogno preme.
Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fame
regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare
di notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi; già ho imparato a non
lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone
di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li
considero miei di pieno diritto.
Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le
piaghe torbide che non guariranno.
Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco
alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il
ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a
sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci
vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l’un l’altro.”
Molti furono i sommersi , pochissimi i salvati.