
Fine anno nel sangue per molti palestinesi, troppi, tanti, e sangue inutile di innocenti bambini.
Di troppe famiglie, che saluteranno l’anno nuovo tra dolori e disperazione.
Lo Stato ebraico ha lanciato la sua campagna di terrore e distruzione a due mesi dalle elezioni, forse per raccogliere le simpatie dei più intransigenti, i “ falchi “ che da anni vorrebbero regolare per sempre il conto con i vicini e inglobare ulteriormente i territori strappati con la forza.
E’ terribilmente ingiusto quando sta accadendo, quanto accade da anni su quella terra sfortunata e maledetta, e la comunità internazionale e l’Onu e anche la UE hanno pesanti responsabilità.
Per aver tollerato per troppi anni lo strapotere dello Stato di Israele, che forte economicamente e militarmente, ha sempre fatto sentire la sua voce coperta dalle esplosioni di bombe lanciate dalla sua aviazione.
E’ una lotta impari, che ricorda quella tra il gigante Davide e il piccolo Golia.
La superiorità degli armamenti messi in campo dagli israeliani in confronto ai pochi e rudimentali razzi dei palestinesi, è schiacciante.
Resta solo l’arma della disperazione, quella che si traduce in esseri umani allucinati e pronti a sacrificarsi, che si fanno esplodere, quando ancora riuscivano ad infiltrarsi nelle città ebraiche, seminando anche loro distruzione e dolore.
E’ una piaga vecchia di quarant’anni questo conflitto, che nessuno ha voluto o saputo risolvere, e naturalmente non potevano da soli i due stati confinanti risolvere da soli; troppi i veti incrociati, troppo l’odio, troppi gli interessi americani in quella area, che alla fine si è deciso, non decidendo nulla, di lasciare alle armi, che puntualmente suonano la loro musica, l’ultima parola.
Ma nessuno può accettare e non deve accettare, che l’ultima parola sia quella delle armi.
Il nostro secolo che ha conosciuto la barbarie nazista, e milioni di esseri umani cancellati per sempre, molti dello Stato che negli ultimi anni si è trasformato in imperialista sotto la protezione dell’America, deve fare un esame di coscienza, per ricordare meglio il proprio passato e le sue sofferenze prima di infliggerle con indifferenza ad un altro popolo, che di quella terra era proprietario legittimo.
Hanno fallito tutti, e scomparso Arafat, il potere si è frantumato in fazioni e gruppi, e nessuno riconosce all’altro la guida ufficiale del piccolo stato confinato nella misera striscia di Gaza, e nelle aree della Cisgiordania.
Ma ora servono fatti, e anche le analisi non servono a nulla, quando gli ospedali, quei pochi ancora in grado di dare assistenza ai feriti e ai dilaniati, sono privi di anestetici e medicine di pronto soccorso, di cannule e garze, di ossigeno e posti letto.
Siamo all’ecatombe di un popolo, ridotto a mendicare, a vivere di stenti, senza viveri, senza acqua potabile a sufficienza, senza luce, senza riscaldamento.
Molti di questi generi di prima necessità vengono introdotti clandestinamente attraverso il mercato nero; le merci passano nei tunnel scavati in direzione dell’Egitto, e ora anche questi sono stati bombardati e distrutti.
Per i bambini e i ragazzi, per giovani e vecchi, questa è l’ora più triste – assistono allo strapotere militare dello stato confinante senza avere colpa alcuna, sapendo che domani per loro, per molti o alcuni, il sole non spunterà, e anche i cimiteri dove saranno avviati coperti dalla bandiera degli irriducibili di Hamas, faticano a contenerli, e non potranno essere seppelliti in quelli troppo a ridosso del confine da dove partono, simili a scintille infuocate, i colpi dell’odiato nemico.
E’ l’intifada la parola chiave del coraggio palestinese, che per anni a colpi di pietre, ragazzini di tutte le età hanno lanciato con la forza della loro disperazione contro i soldati nemici che avanzavano armati di tutto punto nel loro territorio.
Basta adesso, il mondo smetta di stare a guardare, mentre migliaia di persone stanno per mettersi a tavola per festeggiare il 2009 in arrivo, in una altra parte del mondo, poco distante da noi, la ragione, la giustizia, la fede e la speranza, hanno perso ogni valore per essere ancora pronunciate.