Altroltre è il titolo della mostra dell’artista napoletano Sabato Angiero, nelle sale di Castel dell’Ovo, dove presenta tutto il campionario della sua assortita ricerca dispiegatasi in un ventennio circa, dalla metà degli anni ottanta in poi. Il catalogo si giova della presentazione del critico d’arte Toti Carpentieri, e ospita un saggio del giovane studioso Annibale Rainone. Si parte dalle opere degli anni novanta, come Sotto Sopra del 93, in cui Angiero che già aveva bruciato e scoperto il fuoco come medium per produrre l’effetto estetico-visivo, inserisce nelle composizioni pezzi di fogli di giornale; il quotidiano che irrompe e convive con la materia combusta. Si tratta di una situazione che sviluppa diversi piani di lettura che convivono bene, dal momento che la forza stessa dei caratteri grafici che si susseguono ininterrottamente creano una cifra e un alfabeto sincopato di scansioni, mentre la carta bruciata di molte riviste e libri, accoglie le scritte che l’autore ottiene con i fogli stampati del giornale. E poi via con XX Secolo del 1996, dove con carte combuste rappresenta alcuni pensatori e uomini chiave del 900, come Marx, Freud, Che Guevara; si nota ora l’effetto visivo che si stempera nell’impianto dell’immagine ottenuta - del 1996 è anche Opera a libro perso, sorta di libro combusto con insistite residue variazioni di colore, che fanno di questa opera un cuore pulsante, un muscolo intermittente di pulsioni nella materia devastata, ma non del tutto, dal fuoco. Nel 2004 ci accoglie Auschwitz, con l’algida sequenza tipografica di nomi di vittime, un muro della memoria e del dolore, nel 2007 Sang’ e chi t’a muort e Uommene e Quaquaraquà, installazione manifesto combusto, che attraverso la sequela di nomi di galantuomini tipo Scarpuzzedda, killer spietato della mafia siciliana o binnu u tratturi, oppure cicciott e mezanott, e aiutato da una immagine eloquente di un omicidio con donne che vegliano il corpo, Angiero irrompe nel sociale che ha sempre caratterizzato la sua ricerca sin dai primi anni di impegno, con una denuncia di notevole effetto e di buona presa emotiva, ricca di valenze sociologiche che non hanno mai smesso di pulsare. Si arriva al 2006 e alle opere degli ultimi anni che ancora scorrono sotto cenere di brace, che lo vedono alle prese con grandi rotoli di carte che disegnano degli effetti visivi di cerchi concentrici multicolori, e a grandi opere dove il fuoco compie la sua opera con discrezione salvando la sostanza dei libri bruciati, limitandosi a cicatrizzare il male quotidiano, a curare la ferita con il ferro rovente. A ben guardare Angiero sin dall’inizio del suo operare non ha mai smesso di interrogarsi, avendo come faro e guida la cronaca, e i fatti riportati dai giornali, dai mass media che rivestono una importanza capitale nella società, come ricorda McLuhan – che egli abilmente manipola e recupera, dando al prodotto cartaceo, dove la cronaca, di assassinii, di migranti dispersi, di emarginati, ha lasciato il suo segno indelebile, una nuova dignità di vita. ‘
L’arte è ferita “ dice Giorgio Cortenova, “ o è ferita oppure non è arte “ – a ricordare il tributo che dall’espressionismo in poi e fino alla body arte non ha smesso di influenzare come un fiume carsico, l’arte contemporanea, a cui neanche l’operazione di Angiero, seppure il contesto è in parte differente, in qualche modo sfugge, trovando rimandi e segrete corrispondenze per apparentarsi ad una lunga, lontana, scia di ferite. Il fuoco è antico come il mondo, accompagna l’uomo sin dalla sua comparsa, ne ha riscaldato la notte buia, e ha scacciato gli animali feroci, ha dissolto le ombre della notte, e sulla sua brace ha arroventato metalli per temprarli. Ha causato rovine, ha bruciato corpi di streghe presunte, ha dilaniato le carni del filosofo Giordano Bruno, ha bruciato la Biblioteca di Alessandria d’Egitto, e continua a bruciare le baracche di rom e sinti, e lavoratori clandestini che in Italia per pochi euro sono costretti a lavori disumani. Il fuoco per Angiero, memore di tanta storia, è il bisturi per estirpare il male, mai spinto troppo in profondità, deve curare il fuoco, cicatrizzare la ferita, rendere inoffensivi le metastasi, consentire al corpo di vivere ancora. Annotava lo scultore spagnolo E. Chillida “ Ogni materia ha la sua voce, basta saperla ascoltare “ Angiero differenziandosi da tanta ricerca che si vede in giro spesso frutto di accanite ed inconsistenti ripetizioni, tenta la strada da oltre un ventennio, per accedere ad un dominio del visuale che sia frutto in buona sostanza del suo osservatorio alimentato dai guasti che il sistema sociale produce in notevole quantità. Dal 2006 in poi, grandi rotoli non hanno timore di abbozzare nelle pieghe e nei gonfiori della carta, abbozzi di visi, immagini fisiognomiche che recano, sembra, un viatico di lontane immagini seppellite nel tempo. Il fuoco ha accompagnato l’iter espressivo in questi anni di artisti come Kounellis, Horn, Plessi, ciascuno ha saputo caricarlo di valenze esoteriche e alchemiche, piegando la fiamma e la sua tremolante apparizione ai propri voleri estetici e di ricerca; Angiero invece ha saputo farne un compagno fedele, una presenza amica che alimenta con passione cibandolo quotidianamente di lacerti di carta stampata, su cui la mano dell’uomo scrive ogni giorno parole che non sono di amore e fratellanza, convivenza e rispetto, ma di esclusione, di prevaricazione, di insopportabili ingiustizie che la sua pratica espressiva registra e rielabora a fuoco lento nella sua officina di carte.
