
All’inizio, alcuni decenni or sono, arrivarono per lavorare soprattutto nelle campagne alla raccolta del pomodoro, come nella Piana del Sele, o nelle campagne in provincia di Foggia; nigeriani, ghanesi, congolesi, e tanti altri.
Poi successivamente nelle altre attività prevalenti sulla zona, edilizia, caseifici, manovalanza in genere, di tutti i tipi e molto spesso soggetti ancora oggi a cattive condizioni di vita.
Poi è arrivata la prostituzione, invasiva, massiccia, onnipresente, un vero e proprio business, a tutte le ore del giorno e disseminata e praticata sul territorio, e nelle pinete marittime che un tempo emanavano effluvi da capogiro.
Poi è arrivata nefasta la droga, la più terribile di tutte le epidemie, perché porta con se interessi molto forti e morte sicura.
E’ terribile la sorte toccata a questi luoghi un tempo bellissimi, luoghi di villeggiatura dal sapore mediterraneo e dall’agricoltura fiorente, dove le bufale pascolavano placide e producevano l’ottimo latte per le famosissime mozzarelle.
Il degrado ambientale è esteso a macchia d’olio e si allarga sempre di più, per chi soprattutto attraversa questi paesi costieri d’estate ( non che negli altri periodi dell’anno sia meglio ) registra in tutta la sua ferocia il brutto che avanza, come “ una ferita dell’anima “ per usare una espressione dello psichiatra Luigi Zoja, che nessuno ha meritato - dominare su tutto.
Castevolturno è soprattutto un lungo interminabile viale a scorrimento veloce, l’antica strada Domitiana aperta dai Romani per le loro campagne belliche e per i loro spostamenti verso la capitale, e ancora assurge a questo ruolo la strada più trafficata d’Italia, pericolosissima per le alte velocità praticate da automobilisti senza scrupoli.
Ai lati della strada, da una parte il mare un tempo limpido e profumato, e ora asserragliato dal cemento selvaggio che in trent’anni ha rovesciato molti metri cubi di calcestruzzo anche sui suoli demaniali, sradicando pinete storiche, e innestando orribili condomini e villette per i mesi estivi, tirate su in fretta senza nessuna cura, e dall’altro lato tanti negozi e esercizi commerciali, in una continua sequenza ininterrotta di bar, caseifici, mobilifici, articoli per il mare.
Su questo scenario si è già soffermato lo scrittore Antonio Pascale con il saggio “ La città distratta “
che ha preso in esame questi luoghi ma anche la strada Sannitica, quella che da Caserta porta verso Benevento, ben cogliendo il dato antropologico della mutazione del territorio, un tempo esclusivamente agricolo, e ora invaso da un brutto dilagante consumismo senza radici, che lo scrittore individua nella fattezza degli edifici, molti lasciati allo stato grezzo, nelle insegne luminose intermittenti degli esercizi commerciali che si inseguono senza discontinuità lungo la grande e anonima arteria.
Luoghi in cui il senso di spaesamento è forte, l’estraniazione sottile si infiltra sempre di più.
Ora, ma era già in atto da anni, una violenza cieca si è impadronita di questi luoghi, dove organizzazioni criminali con forti interessi sul territorio mantengono e impongono a colpi di armi da fuoco, la loro legge, come è avvenuto in questi giorni di fine Settembre, con un bilancio di sei cittadini di colore ammazzati e uno ferito gravemente.
In conseguenza di questo grave fatto di sangue, gli immigrati hanno innescato la scintilla della protesta, dando fuoco ad autovetture, bruciando cassonetti, distruggendo tutto il possibile, una sorta di giornata di guerriglia urbana, per rivendicare i loro diritti calpestati, e per ribadire che la stragrande maggioranza di loro lavora duramente ed è sfruttata regolarmente, e non ha niente a che fare con lo spaccio di droga.
Una pericolosa polveriera quella di Castelvolturno, che sembrava custodita alla meno peggio, ma che in questi giorni attraverso le immagini televisive che giungono ad ogni ora nelle nostre case, restituisce il senso esatto di una grande banlieu in preda al panico, con cui occorre fare i conti e con cui soprattutto lo Stato deve dialogare, individuando la strada più appropriata di intervento, che non sia solamente quella della repressione, troppo sbrigativa e superficiale.
La priorità è certamente liberare il territorio dalla morsa che lo attanaglia, e dagli interessi che da anni lo hanno asservito ad un potere parallelo fuori dalle leggi dello Stato.
Poi infrastrutture, dialogo, convivenza, accettazione, se non rimarranno parole vuote e inutili proclami, avranno un seguito.
Non dimentichiamo che noi italiani siamo stati un popolo di emigranti, e sin dagli inizi del Novecento le grandi ondate storiche hanno sbarcato i nostri connazionali in diversi continenti della terra, dove le condizioni di vita non erano facili, e gli sfruttatori erano sempre dietro l’angolo, e spesso operavano alla luce del sole – e anche allora l’integrazione sembrava un miraggio come l’araba fenice.
Per dire.