Mi rispondo che sono dei Santi, anemici veggenti con il dono dell’illuminazione. E poi, senza rialzarmi con la testa pendula continuo a chiedermi chi sono le poetesse se non delle mistiche, madri amanti avvolte in lunghi veli di dolore, tragiche penelopi d’infinite attese.
Chissà quanto ha meditato la poetessa Rossella Tempesta su questa fragile e dolorosa condizione prima di racchiudere la sua ultima raccolta di poesie intitolata “Passaggi diAmore”.
Testo lirico e sofferto, attraversato da delicate visioni che si aprono alla riscoperta del mondo e alla sua pacificazione con l’eterno disincanto dei bambini.
Ne risulta un insieme di memorie e assilli di un’esistenza femminile che per amore non si dà pace.
Scansionato in quattro sezioni, il testo affronta con musicalità tutti i sussulti dell’io ora energici, ora deliranti, proprio di quell’io che ne pregiudica il cammino per la sua riconoscibilità.
I versi sono liberi, incontaminati da approcci plurilinguistici e da dettati avanguardistici.
La precisione compositiva e la perfezione nell’uso della metafora, accentuano immagini vaporose e simboliste come grumi luminosi che ci riportano ai paesaggi onirici di campagna del grande pittore lombardo Giovanni Segantini.
Nella forma per vigore e sensualità, di sicuro le saranno state vicine poetesse come Ada Negri e Alda Merini per la sua ansia tragica e sacra.
La poesia è un’esperienza della vita coinvolgente ed emozionante, come ben ci ha fatto ricordare Ungaretti, quando diceva: “L’uomo non potrà mai vivere senza poesia, perché essa rappresenta il secreto non solo di chi riesce, così per dono, a scriverla sulla carta, ma di tutti, poiché tutti l’hanno nell’anima”.
Di quest’esigenza Rossella Tempesta ne avrà misurato la temperatura giorno dopo giorno.
Nei suoi componimenti si ritrovano tutte le conquiste interiori ed esteriori: “Misera di stracci / che ogni sverso di vento attorciglia sui fili, / istupiditi dall’inganno del volo / secchi di estate furiosa”.
Nell’ispirazione della natura, la parola diventa un fiore di crescita e di speranza come recita: “Sorprendente, per fortuna, la vita dell’uva fragola / che si arrampica velocissima / - immagino di notte - / alla rete verde che le ho apprezzato / è giovane, lo si capisce dalla sfrontatezza dei / pampini”.
Il desiderio intimo dell’amore nella sua nudità si appresta ad una sensuale quietezza: “Parleremo stanchi, a voce bassa / ancora ridendo, ancora chiamandoci amore. / Quando la notte coprirà d’acqua il tuo volto, / nel buio, io resterò a te”.
In questi versi domina la psiche, che come la rete di un ragno avanza ed imprigiona dubbi, pensieri, persone, desideri e sentimenti inespressi.
In ultimo, smisuratamente trionfa l’amore che come radice di questa raccolta s’impianta sotterraneamente laddove vi sono recinti, laddove si possono scatenare cuori e mani e spalancare portoni con la semplicità di un respiro.
Un amore che viene attraversato in poesia con ispirazione naturale ed estatica, e che appassionandomi mi riporta a Silvia Plath, al suo eccellente “Ariel” che ben seppe presentare Robert Lowell, quando scrisse che i suoi versi nella mitezza “giocano alla roulette russa con sei pallottole nella pistola”.
Altri tempi e altri luoghi, quando agli inizi degli anni 60’, in un’appannata North Tawton, nel Devon in Inghilterra, s’intrecciavano amori e dissensi tra Plath e suo marito, mentre i suoi bambini reclamavano una mamma a tempo pieno, riscattata forse dalla solitudine della scrittura.
È in quest’estrema tensione che si elevò la tragica grandezza di una poesia febbrile, la stessa che ritrovo in Rossella Tempesta, che per amore della vita è consapevole del tempo e della morte.
22 gennaio 2008 Prisco De Vivo