
Così Oscar Wilde su l’assenzio, la bevanda verde che fa parte dei miti che caratterizzarono gli anni di fine Ottocento, anche definita “ La périe vert “ ( il pericolo verde ) – liquore che ha in Verlaine un riferimento obbligato, connotò un intero periodo, divenendo di fatto la compagna inseparabile di pittori come Van Gogh, Modigliani,e poeti come Rimbaud, e tanti altri, molti, che non poterono più liberarsi dal suo abbraccio mortale.
Aveva cominciato a diffondersi verso il 1830 quando inizio il rimpatrio dei soldati che avevano conquistato l’Algeria; a quei tempi si disse che un po’d’assenzio aggiunto all’acqua li aveva preservati dalle epidemie di tifo, colera, dalla dissenteria.
Lentamente “ La fée vert ( la fata verde ) diventa una moda, una sorta di rito sociale a cui si ubbidisce tacitamente.
Le ore scorrono mute e silenziose in un compagnia di un bicchiere dove è stato versato l’infuso, mentre in breve tempo un leggero e gradevole senso di stordimento, di lontananza dalla realtà si impadronisce del bevitore.
Il nome assenzio deriva dal greco absinthium e significa privo di dolcezza e ne indica il sapore amaro ( la più amara dopo la ruta ).
Talmente amaro che, nelle Sacre Scritture, l’assenzio simboleggiava le vicissitudini e i dolori della vita. Già ricordato nell’antico papiro egiziano di Ebers, l’assenzio era noto anche in Germania nel Medio Evo, col nome di vermut dalla parola tedesca werimuota
Una sorta di rituale iniziatico accompagna la mescita della bevanda, che viene servita lasciando scorrere un po’ di liquore nel fondo di un calice di forma svasata, e subito dopo si appoggia sul bordo un cucchiaino forato che sorregge una zolletta di zucchero su cui si lascia colare lentamente dell’acqua fresca che lo diluisce addolcendolo.
L’ora per berlo va dalle cinque alle sette del pomeriggio: “ l’heure verte “ la chiamano, l’ora verde e coincide in molti casi con quella dell’adulterio.
E’ la bevanda che accompagna la vita dei bohémien, che si trascinano fino a notte inoltrata da un caffè ad un bistrot, fino a smarrirsi nei fumi dell’ubriacatura, che è molto diversa da quella del vino che in genere spinge alla giovialità; quella dell’assenzio spinge il bevitore a smarrirsi nelle sue fantasticherie, nel suo vaporoso stordimento.
Molti artisti affrontarono il tema dell’assenzio, nella letteratura, nella satira, nella pittura.
Manet nel 1859 dipinge il “ Bevitore d’assenzio “ che viene rifiutato dal Salon per la sua audacia, e per la forte impressione che il protagonista suscita sulla giuria.
Van Gogh, Picasso, Gauguin, non c’è pittore che non ritragga l’espressione perduta dei bevitori d’assenzio, che oltre la finzione della pittura è un liquido micidiale, che uccideva davvero.
Verlaine muore a cinquantadue anni, ed è uno dei più anziani; Baudelaire era morto a quarantasei, Rimbaud a trentasette come Van Gogh e Toulouse-Lautrec, Alfred Jarry a trentadue.
L’assenzio dei poeti e dei borghesi è ben diverso da quello degli operai e delle classi più umili, che bevono quello di pessima qualità, adulterato, e pericolosissimo. Nelle rispettive paure, e nei rischi reali, i due secoli Otto e Novecento si assomigliano: Aids contro sifilide, eroina contro assenzio.
Nel 1915, dopo appelli e petizioni, con l’aiuto di una guerra che stava diventando spaventosa, l’assenzio venne proibito per legge.
La fata verde aveva decimato una intera generazione, soprattutto di giovani persi nel clima di sconforto, di crisi di identità, e d’ora in poi non sarebbe più valsa l’affermazione del poeta Rimbaud, il quale affermava “ C’è un bar che preferisco: l’Accademia dell’Assenzio “.