
Appare agli occhi esalante l’ultimo respiro il fiume Sarno, che prende il nome dalla omonima cittadina dove sorge dalle cavità della montagna, dove inizia il suo lento cammino attraverso i campi coltivati ad ortaggi dell’agro – e infine maleodorante e dai brutti colori degradanti verso il marrone, si getta a mare tra Castellammare di Stabia e Torre Annunziata.
Il lento degrado di un corso d’acqua, di un fiume, per le cause che ormai tutti conoscono e su cui sono stati spesi fiumi di inchiostro, di inchieste giornalistiche e televisive, è cosa che tocca tutti, soprattutto gli abitanti dei centri maggiormente colpiti dal suo inquinamento come Scafati, di cui attraversa a cielo aperto tutto l’abitato cittadino.
E dove sono stati riscontrati e documentati molti casi di malattie mortali, sicuramente connesse ai miasmi velenosi delle sue acque.
Ma nell’immaginario tocca tutti, perché in un certo senso il suo degrado è quello dell’ambiente in cui viviamo, e in cui scorre da secoli; ambiente aggredito da scarichi fognari indiscriminati, soprattutto delle industrie conserviere, ma anche dall’afflusso mefitico che riceve dalle acque del torrente Cavaiola, che a cielo aperto attraversa e corre parallelo ai paesi di Cava dei Tirreni e Nocera Superiore e Inferiore, gonfio dei veleni che provengono dalle concerie.
Alcuni anni fa Ermanno Rea, scrittore ed esperto giornalista di resoconti ambientalisti, documentò con i suoi scritti durante un lungo viaggio nella pianura padana, la lenta agonia del più grande fiume italiano : il Po.
Abusivismo edilizio, sbancamenti abusivi, furti di sabbia e erosione degli argini, scarichi violenti di portata inaudita di tutte le acque reflue della laboriosa pianura, hanno portato negli anni il grande fiume ad una lenta agonia.
Lungo i fiumi sono fiorite sin dall’antichità numerose civiltà, paesi, nuclei abitati e popolazioni che dal fiume traevano vita e sostentamento - notizie storiche riferiscono che nell’antichità lungo il fiume Sarno vi erano numerose ville patrizie, adibite a luoghi di villeggiatura.
Furono i Sarrasti, una popolazione pelasgica proveniente dal Peloponneso a chiamarlo Sarno, dopo averlo navigato e risalito le sue acque provenienti dal mare, fondarono anche città come Stabia, Nuceria ).
Lo storico Procopio di Cesarea, nel suo De Bello Ghotico, scriveva “ … il fiume non era molto largo, pur avendo sponde scoscese ed acque profonde, da non poter essere attraversato né dai fanti, né dai cavalieri “:
Da molti anni i fiumi da presenza di vita
sono diventati presenza di rovine, ospiti inquietanti.
Fino agli anni 60 e 70, il fiume Sarno godeva di buona salute, e riferiscono i vecchi abitanti dei paesi che attraversa, numerosi erano i controlli affinchè non si verificassero sversamenti di acque nere nelle sue acque.
Famosi nella mente dei più anziani, i pesci che vivevano nel suo habitat; a partire dalle mitiche anguille, dolci e saporite per la bianchezza delle loro carni.
Nel giro di due o tre decenni è stata fatta tabula rasa, e la vita ha finito di popolare le sue acque, che sono diventate per troppe responsabilità, acque di malattie mortali.
E’ una scena triste vedere in molti punti, prima che sfoci a mare, l’antico fiume narrato dai vecchi, ridotto a cloaca a cielo aperto, dove non sono rare carogne di animali, gomme d’auto, pezzi di legno, buste di plastiche – mentre una terribile morsa prende alla gola e alle narici.
E’ questo il destino dell’ambiente? E se è questo, perché non vengono individuati i responsabili e puniti severamente, senza rimpalli di responsabilità?
Negli ultimi anni, sotto la spinta di una forte indignazione e mobilitazione delle popolazioni più colpite, sono stati fatti dei passi avanti, con la costituzione della Autorità di Bacino del fiume Sarno, che ha messo in cantiere depuratori e griglie, e che nelle intenzioni dei politici dovrebbero essere i rimedi al male.
Io penso sia troppo tardi, il fiume Sarno non potrà tornare alle sue origini e rigenerarsi; la popolazione lungo il suo corso è cresciuta in misura esponenziale, e i paesi sono ridotti a formicai umani, le scorie sono troppe.
Sicuramente non c’è più tempo per prendersi cura del vecchio fiume morente, perché non c’è intenzione di prendersi cura di se stessi.
Il suo sbocco finale nei pressi di Rovigliano, è lo sbocco di un corpo morente, come sono morenti il paesaggio e alcuni luoghi intorno ad esso, dalla spiaggia che prende il nome dallo scoglio visibile da molte direzioni, luogo squallido di violenza e di stupri, da dove occorre stare lontani, scappare a gambe levate.
Fino agli anni 70 le spiagge di Torre Annunziata erano rinomate per la loro sabbia nera, e le acque chiare e trasparenti, la cittadina vesuviana era una stazione di villeggiatura dove arrivavano ogni estate tante famiglie da Napoli.
In un trentennio è come se fosse stato tutto bruciato, e delle infinite risorse di questi luoghi nulla è sopravvissuto.
Infine esprimo un desiderio, mi piacerebbe che un poeta dell’area intorno al fiume, lo eleggesse simbolicamente a narrazione nei suoi versi, così come fece Giuseppe Ungaretti con i molti fiumi a cui la sua esistenza si sentiva indissolubilmente legata.
Sarebbe un modo per tenerlo ancora in vita il fiume Sarno, il fiume delle dolci anguille e dei teneri gamberetti.