
Questi giovani allievi dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, che incontro per la prima volta, in questo mese di Ottobre - complice Peppe Capasso, loro docente di Scultura e infaticabile istigatore delle pratiche dell’arte, mi sorprendono e mi inquietano, per la loro giovane forza linguistica ancora cruda e immediata, e per i semi problematici che essi lanciano a piene mani.
Sono tanti, e tutti degni di attenzione e di accurata lettura del lavoro svolto, che per alcuni di essi assume il significato di una deflagrante verità esibita al mondo.
L’arte è una verità inconfessabile, e si ha paura di esibirla come fenomeno che richiama l’attenzione, ma come verità profonda ed essenziale, come pratica liberatrice ed univoca, come atto forte, di cui si fidano questi giovani – senza presunzione ed orpelli.
Il primo lavoro che incontro sul mio cammino, è quello di Pio Volpe, costituito da tre torri o parallelepipedi neri, dalle cui basi fuoriesce una algida luce blu.
Queste torri spigolose munite di orologio e bussola, nonché di un termometro, vogliono nella loro inquietante presenza presagire lo scorrere del tempo, la sua atavica metafisicità, che nessuna filosofia può permeare.0
La contemporaneità accende le luci di emergenza nella notte nera, e l’instabilità del nostro vissuto esistenziale privo di ancoraggi ci spinge a riflettere sul tempo, in un momento storico drammatico, su cui si aprono scenari inquietanti, che in particolari i giovani vivono con estrema drammaticità.
Una altra opera o manufatto che mi ha inquietato non poco, è quella di Chiara Baldini, costituita da una sorta di guerriero in armatura, con stivali e pezze multicolori.In pose robotizzanti, esso sembra richiamare lo scenario dell’organico-inorganico di cui parla Perniola?
Una altra esibizione di valore aggiunto è quella di Mario Gallo, costituita da una cassa- sarcofago di ferro rugginoso in cui all’interno si scorge una sagoma variopinta di segni e colori, un tessuto corporeo pigmentato e fasciato. Dentro e fuori attraverso l’orifizio dello sguardo.
Sul mio cammino incontro anche dei reperti fotografici della memoria, di Sara Roma - esibiti in una teca oscillante di plexiglass. Minimalismo dello sguardo e discrezione della visione.
Fiabeschi e mitologici invece, i grandi cappelli di cartapesta di Giuseppe Menale – l’uno cosparso da una miriade di fili di canapa, e l’altro nero e teatrale - entrambi protesi verso l’alto si addentrano nello spazio della memoria, riallacciando i fili disgiunti dal tempo.
Di Giuseppe Testa è un grande corno sospeso ad un filo, contenente paglia e ferri acuminati .
Alla base, uno specchio esoterico riflette l’immagine di questo corno oscillante, che trasporta verso un altrove fenomenico la sua antropologica forza scongiurante.Oscilla e respinge le forze negative.
Altra opera fortemente allusiva nella sua magica presenza, è una struttura simile ad un cono da cui pendono tante lamine di rame quadrettate, di Claudia De Micco.
Movimento della luce e oscillazione qui si fondono, ritrovando una straordinaria concertazione di ritmo.Si muovono libere queste lamine, sospinte da uno spirito di vento.
Anche lo scenario della guerra è presente in questo variegato paesaggio contemporaneo delle arti, con una opera fortemente icastica, costituita da un tappeto-stuoia su cui giacciono immobili e ritti centinaia di soldatini. La guerra è distruzione di corpi e la quantità fa paura – di Salvatore Capuano.
Altra opera fortemente icastica è quella di Grazia Pignalosa, costituita da una torre metallica di ferro, da cui pendono finte mani prensili colorate di gesso, guanti di lattice con colate interne di gesso e silicone.
Allucinante e algida rappresentazione, essa si sintonizza in presa diretta con camere operatorie e sale gessi, tra protesi meccaniche e arti amputati.
In memoria della classicità sono le teste di Giove in gesso, aggredite da grandi mosche di ferro rugginoso, che rovinano attraverso la storia e si aggrappano al tempo mefitico in cui viviamo, di Marino e Lama.
In rapida sequenza appaiono anche alcuni secchi metallici con dentro le immagini di un viso siliconate – modulazione di tempo e materia, in alchemica combinazione d’infinito - di Rosaria Maselli.
Poi due opere ben modulate di Liberti Francesco; un pannello costituito da diverse tessere in gesso con interventi di rame, che rischiara di luce queste tavole della memoria, che si confrontano e si parlano.
L’altra è un drago, così dice il giovane autore, di metallo e lamine doppie di lamiera, che sospeso per aria e non impedito di librarsi, sembra anche una onda sinuosa che improvvisa si frange sulla riva – rinnovando il moto perpetuo degli abissi così simile a quello dell’arte.
Tutte le Croci, è il titolo di una opera di Amalia Marzaiolo, costituita da due croci nere di metallo – una con la sagoma del Cristo Crocefisso, e l’altra invasa e pullulante di scritte arabe – entrambe evidenziano i tormenti della parola di fede, enunciato millenario impresso nella carne e nei fondamentalismi distruttivi.
Danilo Correale presenta una sequenza di taniche con sbavature di liquidi, emblemi terrificanti dei commerci di sostanze tossiche e del relativo riciclaggio – in presa diretta con la cronaca dei nostri giorni.
Il feticcio antropologico raggruppa invece, le esperienze di tre diverse operatrici – Immacolata Vittozzi, Simona Ricciardi, Marilena …. - che presentano manufatti influenzati da motivi arcaici, seppur di taglio moderno.Su questa scia espressiva – potrebbe anche collocarsi una opera di Dario Correale, più disegnativa ma anche bidimensionale e che riecheggia temi plastici afferenti.
Di taglio concettuale-poveristico – la serialità di teste di gesso di Nicoletta D’Onofrio, e le pile di cassette della frutta di Anna Distico, nonché i busti di gesso appesi di Immacolata Casola, mentre Angelo Benincasa presenta un dipinto di grande formato di taglio iperrealista su struttura cubica – molto convincente e possente nell’articolazione disegnativi e cromatica.
Di Mirko Battisti, un considerevole lavoro all’incrocio tra disegno e pittura, tra sguardo percettivo obliquo e varie angolazioni e deformazioni linguistiche, tra apposizioni di materia altra e schegge ritornanti di memoria classica.
Di Rosa Lanzillotti Tre Sedie diafane nell’assoluto silenzio, con relative macchine da scrivere, testimoni dell’afasia del linguaggio.
Sonia Amato presenta una agile struttura metallica con strisce bianche di stoffa, che si imbevono progressivamente di vari colori.
Rituali fascinosi della tintura del cotone, tra riti e suoni della terra d’Africa.
Accattivante installazione quella di Massimiliano Gradinetta, costituita da due busti di gesso con annesso tronco collegante – su cui marcia una lumaca di legno.
Di Manuela Gioconda, un letto nero sbilenco, dall’incerto baricentro per il sonno del corpo notturno.
Alchimia dello sguardo e dei materiali eterocliti adoperati; foglie, carta, ferro.
Di Fabio De Falco, un grande dipinto invaso di cerchi materici colorati, richiamanti i gesti e gli automatismi inconsci della pittura.
Di Francesco …. – una opera plastica alta circa tre metri – emblema della società consumistica in cui viviamo, assemblata con gomma nera, e vari materiali di risulta, nonché con tappetini d’auto recuperati, in una sorta di asfissiante fusione chimica.
Di Fabio Costì flaconi algidi di vetro contenenti vari terribili embrioni, evocanti lo spettro delle mutazioni genetiche, dell’artificio biologico che produce creature ripugnanti – l’arte innesta la ricerca sugli aspetti più spietati dell’esistente.
Infine un video di Massimo Pianese, onirico e surreale che cresce e si alimenta intorno ad un nucleo centrale propulsivo d’immagini femminili, sdoppiate e ricongiunte, seducenti e repulsive.